Salve a tutti, eccomi arrivato alla
quinta “considerazione ottusa”. Per prima cosa devo ringraziare tutti quelli
che mi stanno seguendo e stanno addirittura leggendo i miei sproloqui, così,
gratuitamente: mi vien da pensare o che
siete già sulla strada della santità o che avete poco da fare come me e non
trovate niente di meglio per passare il tempo. Scherzo! So benissimo che avete
molta pietà verso i più bisognosi. Comunque detto questo, iniziamo! L’argomento
di oggi è la rabbia. Prendo spunto da uno “screzio” recente avuto con un mio
amico. Non sto qui a spiegare tutta la situazione e tralascio ogni particolare,
solo voglio dirvi che le note per questa considerazione le ho scritte subito
dopo la discussione con questo amico per sbollire un po’ la rabbia. Appunto. Le
riporto come sono uscite.
Ma lei sa chi sono io?
Si, perché questo modo di pensare
e di essere non è solo dei super snob figli di papà, ma è anche il mio, seppur in modo diverso. Non c’è di che
scandalizzarsi: anzi c’è di che rallegrarsi! Significa che, in un modo forse
irrazionale, sono consapevole della mia dignità come persona, della mia
individualità e del fatto che niente al mondo può e deve togliermi questa
dignità. E quelli, i “buoni”, che mi dicono che non bisogna arrabbiarsi forse
sono proprio quei “deboli” che hanno poca autostima di sé, vivono una vita
povera fatta di negazioni e, per finire, sono dei rancorosi pieni di invidia
verso la Vita. La differenza con i figli di papà? Non baso la mia dignità sui
soldi o sullo status sociale o sulla Mini Cooper appena compratami da paparino
per l’anniversario del mio primo penny rubato ad un bambino povero. Appunto.
Ma vai a quel paese!
Non volevo usare affermazioni più
forti per non scandalizzare troppo. Però, cazzo (ops…), l’imprecazione
utilizzata, con tutte le sue varianti più o meno volgari rifacentesi a diverse
parti del corpo, nasconde una Grande Verità: la rabbia è sempre indirizzata
verso una persona mai verso una cosa! Ancora non ho capito perché, ma è diversa
la rabbia verso un piccione incontinente con una mira precisa o verso la
pioggia nel giorno programmato da mesi per la gita al mare e la rabbia
indirizzata contro una persona. Direi che quest’ultima ha una sua componente molto
più coinvolgente e intensa di quella rivolta verso misteriose (ed impersonali)
forze della natura. Potrei, estremizzando, dire che non ci si può arrabbiare
davvero contro il Destino o il Fato greco, ma solo con il Dio cristiano (il dio
che è persona insomma).
Ti vorrei far soffrire nel modo più atroce
A questo punto, dato che sono
incazzato con la persona che ha calpestato (più o meno oggettivamente) la mia
dignità, nascono nella mia testa i pensieri più crudeli e assurdi per far
soffrire chi mi ha fatto soffrire: dalla bambola vodoo, alle torture cinesi all’impalamento
draculesco e chi più ne ha più ne metta. Anche solo questi pensieri di “vendetta”
danno un non so che di appagante e gioioso e ,in fondo, sono un ottimo primo
modo per sfogare la rabbia: un modo sano senza ferire, mutilare o uccidere
nessuno.
Ti uccido, ti perdono o ti affronto?
Veniamo all’atto pratico. Ora mi
vengono in mente tre modi di procedere:
1) procurarmi un enorme palo di legno e
studiare le mosse di Tizio per poterlo cogliere di sorpresa, stordirlo e
legarlo per impalarlo
2) Reprimere totalmente la rabbia, continuare a trattare Tizio
come se nulla fosse successo e nel frattempo covare segreti progetti di tortura
cullandosi contemporaneamente del fatto di essere una buona persona per il
fatto di aver perdonato il mio “carissimo e adorato Tizio”
3) Prendere il
coraggio a due (o anche tre) mani e andare a risolvere, alzando anche un po’ la
voce, la situazione con Tizio cercando in un modo più o meno chiaro (e più o meno
infarcito di imprecazioni a seconda del carattere) le mie ragioni. Ora ciò che
penso è che i primi due modi siano i modi tipici della persona vendicativa (e
il secondo anche peggio del primo in un qualche modo) e quindi in ultima
analisi della persona timida, debole e rancorosa: il “bonaccione” della prima
ora insomma. È un atteggiamento puramente negativo nei confronti della vita,
dove ciò che conta è il veder soffrire l’altro
per il puro piacere della vendetta che, però, subito si trasforma in paura di
ritorsione da parte dell’altro.
Il secondo modo, quello della rabbia repressa,
è il modo più vile per affrontare la vita ed il peggiore con cui offendere la
già offesa dignità: un modo di vivere alla Gollum per parlar chiaro, nascosto,
odiando se stesso e gli altri. La peggior cosa è che in questo modo confondo la
rabbia repressa con il perdono. No, cacchio! Il perdono non è passar sopra le
cose tacendo, ma rimane sempre e comunque affermazione gioiosa della vita e
della dignità mia e dell’altro!
Il terzo modo quindi mi sembra il migliore: lo
scopo principale è quello di affermare me stesso e la mia dignità senza cercare “direttamente”
il dolore del prossimo, ma accettandolo come eventuale conseguenza. C’è una
profonda differenza come al solito anche se da fuori la situazione può rimanere
la stessa.
Per concludere ecco un mito di
personaggio che in pochi minuti vi spiega molto di più di quanto ho detto io
qui sopra:
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