Esperimento per questa considerazione ottusa di oggi. Provo con la forma del dialogo. Tengo a specificare che le opinioni che sono riportate nel discorso sono autobiografiche, nascono dalla mia esperienza personale. Molto probabilmente sono banali, ma sono le mie. Allo stesso tempo tengo a specificare che c'è anche una certa nota di provocazione e che non credo totalmente nelle posizioni del giovane del dialogo. Comunque a voi la lettura.
Il vecchio girò la clessidra che
era sul tavolo. Il giovane guardò scorrere lentamente i primi timidi granelli
di sabbia cadere inesorabilmente da un cono all’altro, spinti giù dal loro
stesso essere.
E quindi mi chiedi cosa è il
tempo? chiese il vecchio
Il giovane annui lentamente e
disse: Tu cosa sai del tempo?
Ciò che la vita mi ha
insegnato. Tu cosa sai?
Il giovane ci rifletté su un
attimo, poi guardando la clessidra disse: questo non è il tempo.
Acuta osservazione, giovane.
Ma una negazione non mi dice
nulla su che cosa una cosa sia.
Non sempre, non sempre,
giovane amico.
Dove dimora il tempo, vecchio?
Non lo potresti dire guardando
il mio viso?
Sul tuo viso vedo solo rughe,
macchie scure, capelli bianchi, palpebre pesanti. È questo il tempo?
Tu vedi ancora in superficie,
io ti ho detto di guardarmi il viso.
C’è differenza?
Come tra la luce e le tenebre.
Il giovane osservò meglio poi
esclamò con una certa sorpresa: i tuoi occhi … i tuoi occhi sono quelli di un
giovane!
Esatto disse il vecchio. E sai
perché sono così i miei occhi? Perché io ho guardato il tempo dritto in faccia.
Il giovane ammutolì.
E sai cosa ho scoperto giovane
amico? Che il tempo è come quei granelli
di sabbia che vedi nella clessidra: punti, istanti se vuoi, che vorticano
furiosamente nel vuoto. Il passato non esiste e il futuro neppure: ogni istante
scompare non appena viene al mondo, portando con sé la sua maledizione di
precarietà. È come un raggio di luce, l’istante, in una notte oscura: un
bengala che scoppia solitario nel firmamento ed il suo bagliore è il segnale
della sua fine. Questo è il tempo giovane amico.
Scusami vecchio, ma qualcosa
mi sfugge! Se il tempo davvero dici sia un attimo e basta, cosa lega tutti
questi punti, questi granelli di sabbia? Quale è il filo che tiene uniti gli
attimi?
Tu sai già la risposta vero
mio amico? Pensaci, in parte ti ho già risposto prima.
Il giovane si concentrò. Poi
disse: la negazione?
Corretto amico, corretto. Ogni
attimo, come si definisce? Come negazione di tutto ciò che sono gli altri.
Capisci che in questo modo nessuno dei singoli istanti ha una sua importanza reale,
ma ognuno ha bisogno degli altri per poter davvero sussistere.
Comunque intervenne il giovane
anche un intero insieme di istanti non rimane pur sempre senza senso? Essi non
si richiamano tra di loro in una catena infinita? Come fa ad esistere una cosa
che alla fine è negazione?
Le tue domande, giovane, hanno
senso invece. Hai ragione, un’esistenza temporale – un insieme di istanti uniti
da questa relazione di negazione – è una negazione. Ma di che cosa? Perché una
negazione ha sempre bisogno di un’affermazione per poter dirsi nella realtà.
Quindi ti chiedo, ripeté il vecchio, che cosa è quella cosa che è negata dall’esistenza
temporale?
Tu dici, vecchio, che questa
cosa è affermazione di ciò che è negazione dell’esistenza temporale, quindi
deve esserne l’opposto no? Se ho ben capito, quindi, questa cosa è una cosa che
vive fuori dal tempo, è una cosa che potremmo dire eterna?
Eterna sì ma non fuori dal
tempo. Essa è invece in ogni istante, informa ogni istante dell’esistenza
temporale collegando l’uno con l’altro; è ciò per cui il tempo esiste ed è
quello che è, quindi in qualche modo questa cosa esiste nel tempo. Però allo
stesso tempo essa è fuori dal tempo, perché nessuno degli istanti può davvero
rappresentarla interamente. Ed in questo senso essa è al di fuori dal tempo.
E come si chiama questa cosa?
Scegli: anima, spirito, mente.
Io la preferisco chiamare anima.
Rispetto la tua scelta,
vecchio. Quindi l’anima è in qualche modo l’essenza stessa del tempo, di ogni
istante temporale. Senza di essa non esiste il tempo?
Giusto, il tempo non esiste
fuori dall’anima. Ti dirò di più, ogni istante è come un rivelarsi in
perfezione dell’anima stessa, come un flash che rischiara solo per un momento
una stanza buia con un monumento di cui si riconoscono solo i contorni. Non
solo, l’anima può davvero vivere in questo mondo, così mi dice l’esperienza,
solo attimo per attimo, goccia per goccia, fino al momento in cui si lascia
questo corpo e questa materialità. È questa la precarietà di ogni esistenza
temporale.
Però, vecchio, la precarietà è
in qualche modo anche essa negazione di un qualcosa di affermativo. Questa
affermazione non è forse la perfezione? Cosa è quindi la perfezione temporale?
Il vecchio sorrise. Il giovane
lo impressionava sempre più. Poche primavere eppure con un’intelligenza già
pronta ad abbracciare cose così grandi. Vuoi sapere che cosa è la perfezione?
Pensa a cosa sono gli attimi dell’esistenza temporale: attimi che da soli non
possono sussistere. La perfezione allora risiederà in un attimo sussistente, un
cerchio chiuso in sé stesso, o meglio un punto, che contiene in sé tutti gli
attimi insieme. Potremmo dire che questa è l’eternità: perfettamente scevra dal
tempo perché perfettamente libera da qualsiasi altro istante per essere
definito. Un istante che racchiude ogni perfezione, ogni possibilità, ogni
strada percorsa e percorribile. Questo possiamo chiamarlo Dio.
Il giovane rimase in silenzio.
La clessidra aveva compiuto il suo ciclo anche per quel giorno. Il vecchio si
alzò e fece per metterla di nuovo in moto, ma il giovane gli trattené la mano.
Non lo guardava in faccia e la sua voce si era fatta più bassa.
Vecchio, dimmi, non può mai
darsi questa eternità nell’esistenza terrena, materiale?
Il vecchio lo guardò con
sorpresa. Questa è una domanda sciocca, giovane. L’esistenza temporale, o
materiale, non può che essere distillata in attimi i quali contengono in sé stessi
la loro stessa precarietà e il loro bisogno di un passato e di un futuro. Come
pensi possa esistere in questo mondo l’eternità? La precarietà è la legge del
mondo.
Il giovane tratteneva ancora
il vecchio dal rigirare la clessidra. Lentamente allentò la presa, così da
permettere al vecchio di compiere il suo rito giornaliero. Poi sempre guardando
in basso, con una mano lanciò contro il muro della stanza del vecchio la
clessidra. Il vetro si ruppe e tutti i granelli di sabbia caddero sul
pavimento, liberi finalmente dalle gabbie coniche.
Cosa diavoli fai, giovane
idiota! gridò inorridito il vecchio.
La legge di questo mondo? chiese
il giovane con la voce tremante. Io sto parlando, vecchio, della mia vita,
della mia esistenza, non della legge di questo mondo. Non voglio sentir parlare
di leggi. Io parlo di me e non mi interessa di come gira il mondo o la tua
clessidra. Anzi, non è vero. Mi interessa, ma solo per poter capovolgere l’ordine
esistente.
Capovolgere, giovane? Ed in
che modo, tu, che sei un ragazzino senza esperienza, né potere pensi di
cambiare quello che è l’ordine universale? Chi sei tu per infrangere queste
leggi che regnano da quando esiste il mondo?
Il giovane restò in silenzio,
poi lentamente, con calma disse: Io sono io, non c’è bisogno di nessun potere,
né esperienza, né di alcunché per poter distruggere queste leggi. Io non voglio
essere ciò che tu chiami precario. Io non voglio aggirarmi per la vita da un
attimo all’altro sperando di fare sempre la mossa giusta, come un equilibrista
bendato che deve attraversare su una fune un abisso. Non voglio vivere come un
assetato che mendica acqua e riceve solamente da bere goccia a goccia, sempre
con la speranza che la prossima goccia arrivi. Quale razza di crudele
carcerario mi da acqua in questo modo? No, io non voglio aver bisogno di nessun
passato, di nessun futuro, di nessun dio. Io voglio vivere l’istante presente
perfetto, voglio vivere qui l’eternità. So bene che non posso realmente
cambiare le leggi esteriori di questo mondo: sempre invecchierò, sempre
crescerò, sempre morirò, sempre non potrò controllare ciò che mi avverrà e
sempre non potrò cambiare ciò che mi avvenuto. Eppure c’è qualcosa che posso
fare, c’è un posto dove le leggi universali non giungono e mi lasciano libero:
la mia anima. Ed è questo che farò, vecchio! Con la mia anima, con la mia
volontà io scinderò ogni legame con passato e futuro, taglierò la fune, vivrò
ogni attimo come se fosse l’unico: la mia vita sarà questo, l’eterno affermarsi
di un singolo istante perfetto modellato con la mia volontà creatrice, capace
di modellare sia il mio passato sia il mio futuro. Sarò io a decidere cosa
essere in futuro e cosa sono stato in passato. Non dovrò dipendere più da
nessuno, da nessuno dovrò più elemosinare la vita, al contrario sarà la mia
vita ad affermarsi da sola, con tutto il dolore e la solitudine, la gioia e la
vittoria. Sarò io il dio di me stesso! Nessuna strada, nessun cammino, nessuna
legge: lascerò che la mia anima, come un mare impetuoso, distrugga e sommerga
tutto, lasciando solo un’enorme distesa azzurra, in cui ogni cammino è permesso
e non ci sono mete da raggiungere, ma solo viaggi da fare.
Il giovane si era alzato nella
foga del suo discorso. Quando l’ebbe finito guardò il vecchio con occhi di
sfida. Non poté non stupirsi quando vide il vecchio piangere.
Giovane amico, giovane
sfortunato. Non sai davvero quello che dici. E tu vorresti essere il dio di te
stesso? Tu che non sai nemmeno quando verrà il tuo momento di morire? Tu
vorresti davvero assumerti tutto il dolore della distruzione, la responsabilità
enorme di essere l’autore della tua stessa vita, il dubbio di ogni scelta, il
senso di smarrimento in un mare senza sentieri? Anche se tu sei tu, non puoi
essere davvero per niente Dio. E credimi è molto meglio così. Noi esseri umani
non capiamo, non sappiamo cosa ci aspetta l’attimo dopo che stiamo vivendo, la
vita o la morte. Ogni nostro passo è in pratica un atto di fede nella vita, un
vivere davvero in bilico. Tu lo hai visto, lo so. Però questo ti deve far
capire una cosa: la soluzione non è nel tagliare la fune ed abbandonarsi ad un’esistenza
regolata solo da te. Tanto più capire la nostra precarietà come bisogno dell’aiuto
degli altri. Questa è la vera lezione del tempo, giovane amico mio. Adesso si è
fatta sera, torna a casa.
Il giovane si alzò, anche se pareva dal suo viso, intenzionato a fermarsi. Salutò il vecchio e uscì all’aria aperta. Le ultime parole del vecchio lo avevano colpito non c’era che dire. Però ancora non sapeva bene cosa fare. Soprattutto si chiedeva se la clessidra il giorno dopo sarebbe tornata a girare e misurare il tempo oppure no. Doveva solo aspettare.
Il giovane si alzò, anche se pareva dal suo viso, intenzionato a fermarsi. Salutò il vecchio e uscì all’aria aperta. Le ultime parole del vecchio lo avevano colpito non c’era che dire. Però ancora non sapeva bene cosa fare. Soprattutto si chiedeva se la clessidra il giorno dopo sarebbe tornata a girare e misurare il tempo oppure no. Doveva solo aspettare.
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