La considerazione ottusa di oggi
vuole essere un po’ polemica. Prendo spunto dalla festa di ieri, quella di San
Francesco d’Assisi, per riflettere su un tema abbastanza intricato: la povertà.
Dico intricato non a caso: spesso mi è capitato di discutere animatamente sulla
povertà con diverse persone. E ad origine della discussione, riflettendoci su,
c’era sempre una cosa: l’equivoco sul significato della parola povertà.
Molti infatti usano il tema della
povertà per attaccare il comportamento della Chiesa nei confronti della
ricchezza e dei suoi derivati, prendendo
ad esempio proprio il poverello di Assisi. Non metto in dubbio che sicuramente
nella Chiesa ci siano uomini avidi, attaccati al denaro, assoggettati dal
potere che deriva dal denaro e quanto altro: non mi turba e non mi indigna
perché so bene che gli uomini di Chiesa sono sempre peccatori. Non mi piace,
invece, assumere a priori che l’intera istituzione terrena Chiesa Cattolica sia
una struttura di peccato in quanto gestisce anche un patrimonio (di vario tipo):
quale stato di questo pianeta non lo fa? O per meglio porla: quale stato si
disinteressa completamente dei suoi abitanti o delle strutture in cui essi
vivono e lavorano? Solo quelli di cui ci indigniamo e definiamo tirannici.
Ma i palazzi del vaticano sono
iperlussuosi! mi diranno e alcuni sprechi così evidenti di denaro possono
essere evitati. Giusto, però allora dovremmo anche criticare tutti quegli stati
dall’ovest all’est che hanno come palazzi presidenziali praticamente delle
regge: non lo si fa e giustamente! È un dato di fatto che gli stati abbiano bisogno di
rappresentare il proprio popolo davanti al resto del mondo in un modo decoroso
e non in palafitte di legno. Rimane
comunque il fatto che se un giorno nel nuovo ordinamento mondiale non ci fosse
più bisogno di stati e cose varie, la Chiesa potrebbe benissimo rinunciare allo
stato del Vaticano, senza che nulla dello Spirito della Chiesa si perdesse.
Ma la Chiesa predica la povertà,
gli altri stati no! Ora arriviamo al nocciolo della questione. Precisiamo
subito una cosa: povertà è diverso da pauperismo ( = rinunciare ai beni terreni
tranne quelli più essenziali). La povertà cristiana è in primo luogo una virtù,
un qualcosa di interiore, un abito non fatto di tessuto, ma di atti della
volontà. Il saio di Francesco non racchiude il mistero della sua povertà né lo
esaurisce. La povertà cristiana predicata dalla Chiesa e da Francesco è una
povertà di carattere diverso.
In primo luogo è un abbandono che
il singolo cristiano fa alle mani di Dio, la presa di coscienza che la propria
vita, il proprio destino non è totalmente nelle proprie mani, ma al contrario
che nell’avventura della vita nessun uomo è totalmente solo, ma sempre
accompagnato dall’amore di un Dio Padre. È un rendersi conto che l’essere figli
di Dio è la verità essenziale della propria vita.
In secondo luogo,
conseguentemente a questa realtà di filiazione, il cristiano vive quello che è
il distacco dai vari mezzi che utilizza per vivere nel mondo in cui Dio stesso
lo ha messo: il lavoro, gli strumenti del suo lavoro, etc. Questo naturalmente
non vuol dire che il cristiano debba vivere senza usare questi mezzi, ma che
debba imparare a trattarli per quello che sono: mezzi e non fini.
E allora Francesco? Precisiamo
una cosa che pare scontata, ma che è fondamentale: Francesco era un frate, una
persona che per sua scelta e per vocazione divina decise di vivere “fuori” dal
mondo, nel senso che si distaccò dalla società per poter ricordare a tutti gli
uomini quali sono le cose davvero importanti nella vita e l’unica cosa che
davvero conta: Dio. I gesti di Francesco e le sue azioni quindi sono per tutti?
No! Perché lui è santo e noi no? Assolutamente no! Lui è un santo frate e noi
invece dobbiamo essere santi che vivono nel mondo senza distaccarcene:
qualunque sia il nostro lavoro e il modo onesto con cui ci procuriamo di che
vivere (ora o in futuro) esso non ci è di impedimento per essere santi, ma al
contrario esso è mezzo per raggiungere la santità. Ora se il lavoro e la nostra
vita in generale sono il tramite con cui incontrare Dio, come posso vivere nel
mondo senza usare gli strumenti che il mondo mi offre? Sarebbe come dire che
per poter essere santo un dirigente d’azienda dovrebbe smettere di usare un computer,
avere una segretaria, una casa ben ammobiliata dove ricevere ospiti importanti,
etc. Questa affermazione qui non è del cristianesimo, ma purtroppo viene spesso
confusa tra gli insegnamenti di Cristo.
Per riassumere la povertà è un
atteggiamento interiore da vivere piuttosto che una serie di condizioni esterne
da mostrare al mondo per vivere in pace con la propria coscienza. Ognuno è
libero di pensarla diversamente, però, non mi venga ad usare un’argomentazione
così ridicola per attaccare la Chiesa, perché essa si auto-smonta: il
pauperismo è fuori dagli insegnamenti di Gesù e della Chiesa quindi non può
essere predicata come parola del Figlio di Dio.
D'accordo su tutto tranne che sul fatto che Francesco fosse monaco: ha dato origine alla vita da "frati", nuova pagina della vita dei cristiani.
RispondiEliminaRaimondo
Grazie della precisazione...correggo subito
RispondiElimina