mercoledì 5 ottobre 2011

Sul saio di Francesco


La considerazione ottusa di oggi vuole essere un po’ polemica. Prendo spunto dalla festa di ieri, quella di San Francesco d’Assisi, per riflettere su un tema abbastanza intricato: la povertà. Dico intricato non a caso: spesso mi è capitato di discutere animatamente sulla povertà con diverse persone. E ad origine della discussione, riflettendoci su, c’era sempre una cosa: l’equivoco sul significato della parola povertà.




Molti infatti usano il tema della povertà per attaccare il comportamento della Chiesa nei confronti della ricchezza e  dei suoi derivati, prendendo ad esempio proprio il poverello di Assisi. Non metto in dubbio che sicuramente nella Chiesa ci siano uomini avidi, attaccati al denaro, assoggettati dal potere che deriva dal denaro e quanto altro: non mi turba e non mi indigna perché so bene che gli uomini di Chiesa sono sempre peccatori. Non mi piace, invece, assumere a priori che l’intera istituzione terrena Chiesa Cattolica sia una struttura di peccato in quanto gestisce anche un patrimonio (di vario tipo): quale stato di questo pianeta non lo fa? O per meglio porla: quale stato si disinteressa completamente dei suoi abitanti o delle strutture in cui essi vivono e lavorano? Solo quelli di cui ci indigniamo e definiamo tirannici.

Ma i palazzi del vaticano sono iperlussuosi! mi diranno e alcuni sprechi così evidenti di denaro possono essere evitati. Giusto, però allora dovremmo anche criticare tutti quegli stati dall’ovest all’est che hanno come palazzi presidenziali praticamente delle regge: non lo si fa e giustamente! È un dato di fatto  che gli stati abbiano bisogno di rappresentare il proprio popolo davanti al resto del mondo in un modo decoroso e  non in palafitte di legno. Rimane comunque il fatto che se un giorno nel nuovo ordinamento mondiale non ci fosse più bisogno di stati e cose varie, la Chiesa potrebbe benissimo rinunciare allo stato del Vaticano, senza che nulla dello Spirito della Chiesa si perdesse.

Ma la Chiesa predica la povertà, gli altri stati no! Ora arriviamo al nocciolo della questione. Precisiamo subito una cosa: povertà è diverso da pauperismo ( = rinunciare ai beni terreni tranne quelli più essenziali). La povertà cristiana è in primo luogo una virtù, un qualcosa di interiore, un abito non fatto di tessuto, ma di atti della volontà. Il saio di Francesco non racchiude il mistero della sua povertà né lo esaurisce. La povertà cristiana predicata dalla Chiesa e da Francesco è una povertà di carattere diverso.

In primo luogo è un abbandono che il singolo cristiano fa alle mani di Dio, la presa di coscienza che la propria vita, il proprio destino non è totalmente nelle proprie mani, ma al contrario che nell’avventura della vita nessun uomo è totalmente solo, ma sempre accompagnato dall’amore di un Dio Padre. È un rendersi conto che l’essere figli di Dio è la verità essenziale della propria vita.

In secondo luogo, conseguentemente a questa realtà di filiazione, il cristiano vive quello che è il distacco dai vari mezzi che utilizza per vivere nel mondo in cui Dio stesso lo ha messo: il lavoro, gli strumenti del suo lavoro, etc. Questo naturalmente non vuol dire che il cristiano debba vivere senza usare questi mezzi, ma che debba imparare a trattarli per quello che sono: mezzi e non fini.

E allora Francesco? Precisiamo una cosa che pare scontata, ma che è fondamentale: Francesco era un frate, una persona che per sua scelta e per vocazione divina decise di vivere “fuori” dal mondo, nel senso che si distaccò dalla società per poter ricordare a tutti gli uomini quali sono le cose davvero importanti nella vita e l’unica cosa che davvero conta: Dio. I gesti di Francesco e le sue azioni quindi sono per tutti? No! Perché lui è santo e noi no? Assolutamente no! Lui è un santo frate e noi invece dobbiamo essere santi che vivono nel mondo senza distaccarcene: qualunque sia il nostro lavoro e il modo onesto con cui ci procuriamo di che vivere (ora o in futuro) esso non ci è di impedimento per essere santi, ma al contrario esso è mezzo per raggiungere la santità. Ora se il lavoro e la nostra vita in generale sono il tramite con cui incontrare Dio, come posso vivere nel mondo senza usare gli strumenti che il mondo mi offre? Sarebbe come dire che per poter essere santo un dirigente d’azienda dovrebbe smettere di usare un computer, avere una segretaria, una casa ben ammobiliata dove ricevere ospiti importanti, etc. Questa affermazione qui non è del cristianesimo, ma purtroppo viene spesso confusa tra gli insegnamenti di Cristo.

Per riassumere la povertà è un atteggiamento interiore da vivere piuttosto che una serie di condizioni esterne da mostrare al mondo per vivere in pace con la propria coscienza. Ognuno è libero di pensarla diversamente, però, non mi venga ad usare un’argomentazione così ridicola per attaccare la Chiesa, perché essa si auto-smonta: il pauperismo è fuori dagli insegnamenti di Gesù e della Chiesa quindi non può essere predicata come parola del Figlio di Dio.  

2 commenti:

  1. D'accordo su tutto tranne che sul fatto che Francesco fosse monaco: ha dato origine alla vita da "frati", nuova pagina della vita dei cristiani.
    Raimondo

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  2. Grazie della precisazione...correggo subito

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