ATTENZIONE! La considerazione
ottusa di oggi sfiora di striscio l’argomento Harry Potter. Chiunque odiasse
anche minimamente il mago della serie omonima può evitare la prima parte del
post ed arrivare direttamente alle conclusioni, anche se glielo sconsiglio
vivamente. Naturalmente questa non è una considerazione che verte su Harry
Potter, ma su una particolare creatura magica che appare nella saga,
esattamente nel terzo libro “Il prigioniero di Azkaban”, che spesso viene
ricordata dai fan per la sua inutilità ai fini della trama. Sto parlando del
Molliccio.
Per chi non ricordasse o per chi
non sapesse, Il Molliccio è una creatura magica Mutaforma, capace cioè di
assumere la forma di ciò che spaventa di più il mago che gli si avvicina.
Normalmente i mollicci vivono nei posti bui come armadi, scrittoi o cose del
genere. Nella saga di Harry Potter,
viene insegnato che il metodo più efficace per sconfiggere un molliccio
è: 1) trovarsi in compagnia di altri maghi; 2) usare l’incantesimo Riddikulus
con cui far assumere al molliccio una forma che più diverte il mago. La prima
volta che questa creatura compare nella saga è durante una lezione pratica di Difesa
contro le arti Oscure del prof. Lupin. Il povero molliccio si ritrova a subire
ripetutamente l’incantesimo sopracitato trasformandosi continuamente in ciò che
lo studente di turno trova più buffo. Il solo a non affrontare il molliccio è
lo stesso Harry Potter per intervento dello stesso Lupin. Come viene spiegato
in seguito il professore temeva che il molliccio si potesse trasformare nello
stesso Voldemort, cosa non facile da gestire in una classe di studenti. Harry
però gli rivela che in realtà ciò che in quel momento più lo spaventa non è il
Signore Oscuro, bensì i Dissennatori, creature magiche malvagie affamate di
speranze, ricordi felici e sentimenti positivi, capaci addirittura di sottrarre
l’anima ad un umano (con il Bacio del Dissennatore).
Fatto questo breve excursus
potteriano (anche per mostrare un po’ della mia erudizione… come dici? Non c’è
niente di cui vantarsi? …) arrivo alla mia considerazione di oggi, che riguarda
la paura. Ora devo ammettere che il molliccio per me è un sogno. Aspetta, non
giudicarmi male: non vorrei certo avere nell’armadio, nascosto, insieme al caos
di abiti e calzini, la mia peggior paura che ogni mattina mi butta giù dal letto. Non dico questo. Ciò che invece mi piacerebbe è
che la mia paura (o anche tutte) si potesse davvero magicamente materializzare almeno una volta nella mia vita per poterla così vedere bene in
faccia, squadrarla, girarci intorno, prenderne le misure e alla fine puff!
farla sparire. Perché so bene che ciò che più mi fa paura della paura è la sua
indeterminazione, i suoi contorni sfumati, la sua molteplicità confusionaria,
le sue spire avvolgenti in cui perdersi per giorni e giorni con elucubrazioni
sempre più complesse e salti logici sempre più illogici. Per questo motivo, ben
venga un caro molliccio, così materialmente definito, da sconfiggere con un
incantesimo.
Sia ben chiaro, non dico che la
paura sia una cosa totalmente negativa: è un segnale forte del mio amore per la
vita. La stessa paura può essere una porta per poter meglio conoscere quali
sono i miei desideri più profondi e i sogni a cui tengo di più. Perché
è questo quello che mi spaventa di più: perdere ciò che di più ho caro,
rimanere con un pugno di niente levato verso il Cielo.
Posso eliminare questa
paura? No, non posso. Perché le cose sono fatte davvero così, almeno per quanto ne
so: sono precarie, sono instabili, sono destinate per forza delle cose a
corrompersi e insomma, ogni foglia prima o poi deve cadere al suolo. Sono quindi
destinato ad una vita vissuta sempre con il timore di perdere tutto ciò che ho?
Non è detto: ogni perdita che subisco può davvero diventare, non è solo un
pensiero consolante, una nuova occasione per poter riaffermare la mia vita e le
sue possibilità. Ed in fondo pensandoci bene ci sono cose che non posso perdere
perché non le possiederò mai: sono le cose per cui sono quello che sono.
L’amore delle persone care, la sicurezza della mia dignità come persona, la mia
libertà, la mia capacità di poter formulare sempre nuove relazioni d’amicizia e
tante e tante altre cose che rimangono, come le stelle del firmamento per il naufrago nel mare della vita, l’estrema speranza che mi indica la
strada verso Casa.
Insieme a queste consapevolezze
rimane sempre la terapia più efficace contro la paura, ovvero l’autoironia e
l’ironia, così come mamma Rowling ci insegna amabilmente. L’autoironia che è
una forma di distacco nei confronti di me stesso e dei miei problemi, una sorta
di ascesa su un alto monte da cui osservare con una certa divertita sorpresa
che la maggior parte dei problemi (non tutti naturalmente: un cancro rimane un
cancro!) sono delle piccole formichine innocue e che facilmente possono essere
superate. Questo però esige un certo allenamento anche nel distacco da noi
stessi e dalle nostre situazioni.
Concludo ringraziandoti caro
lettore che sei arrivato fino in fondo. Se hai qualcosa da ridire oppure da
migliorare allora commenta qui sotto, o su facebook o privatamente al mio indirizzo email:
dino.pascale@gmail.com
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