mercoledì 21 settembre 2011

Sul Tantalo cieco


Continuiamo con le considerazioni ottuse “felici”! Sulla scia de “La ballata dell’edonista” (leggi qui) scrivo quanto segue. Lo spunto me lo dà principalmente una poesia di Jorge L. Borges (“La poesia dei doni”) che riporto in fondo al post e che ho letto oggidì per la prima volta. In questi pochi versi viene citato un personaggio mitologico, Tantalo, di cui non conoscevo la storia. Dopo essermi informato su Wikipedia (qui) [abbiate pietà di me, non mi andava di cercare altrove] sono rimasto abbastanza sconvolto.




Borges e Tantalo sono diventati improvvisamente per me un simbolo incredibilmente limpido di una verità che andavo e sto masticando da diverso tempo: potrei quasi parlare di un epifania (e non della befana), ma non lo faccio anche perché non sono sicuro di aver colto fino in fondo l’implicazioni di quanto scrivo. Partirei dal caro Tantalo. Senza tirarla per le lunghe, il buon greco era un re ben voluto dagli dei dell’Olimpo con i quale spesso sedeva a mensa. D’altra parte il buon Tantalo era anche un gran rompip***e e si divertiva (?) a fare offese di diverso tipo e gravità agli dei (contento lui). Fatto sta che dopo la sua morte egli fu condannato dagli stessi dei ad una punizione terribile: continuamente assetato e affamato, il poverino era legato ad un albero pieno di frutti dolci e succulenti immerso nelle acque dissetanti di un lago fino al collo. Cosa c’è di male? Semplice: quando egli si porgeva per bere l’acqua del lago, essa si prosciugava; quando egli provava a mordere i frutti dell’albero essi si scostavano da lui o una folata di vento glieli portava via dalle mani. Brutto no? Come se non bastasse, quei grandissimi str***i degli dei (come chiamarli altrimenti?) avevano posto sopra di lui un macigno in equilibrio instabile pronto a cadere e a schiacciare il povero morto che doveva così vivere per l’eternità oppresso da questa paura.

Jorge Luis Borges visse lo “stesso” dramma (almeno dal punto di vista personale): appena fu nominato direttore della Biblioteca Nacional (800,000 volumi) argentina, lui che era un gran lettore e appassionato di libri dovette subire l’umiliazione di diventare quasi completamente cieco! Certo non era come non poter bere, né mangiare, né vivere con un macigno sospeso sulla capoccia, ma per il Borges era come “vedersi” (spiritoso no?) soffiare sotto il naso il proprio sogno, appena raggiunto, dopo tante fatiche e sudore.
Ora quante volte mi è capitato di vivere ciò? Naturalmente non ho potuto mai vivere questo sottile dramma fino a questi livelli di drammaticità, però, sì, penso che in minima parte questa sia anche un esperienza quotidiana: quante volte mi capita di dover anche solo per un motivo futile cercare un po’ di pace o un po’ di ristoro in qualche attività o con qualche persona, magari faticare come sette buoi sotto il sole d’agosto per poter raggiungere questa oasi di tranquillità e poi magari inconsapevolmente accorgermi che la “cosa” (non so come esprimermi meglio) che cercavo in quella situazione o persona è sparita non appena sono arrivato? Dico inconsapevolmente proprio perché non è sempre detto che me ne renda conto, anche se magari una certa insoddisfazione di fondo, mi dice che non tutto va bene.

Non vorrei auto citarmi, però ricordo bene che una volta la prof.essa di religione alle medie ci fece questa domanda: “Che cosa è la felicità?”. Dopo averci pensato un po’ su (neanche troppo in realtà) risposi subito convinto: “Per me la felicità non esiste, perché appena uno prova ad afferrarla essa scivola via” (naturalmente la citazione non è letteraria, ma il senso è questo)! Sicuramente avevo e ho problemi seri, però ci sto lavorando su.

Ora sicuramente molti di voi mi diranno che sono un pessimista. Bene io vi dico che è vero: è una nota del mio carattere (penso si fosse capito no?), ma non è una cosa che apprezzo né in me né negli altri. È una cosa così inutilmente vile il pessimismo, quasi un arrendersi alla vita prima ancora di essere scesi in battaglia solo perché si ha paura del Dolore che si potrebbe subire, che penso sia un errore madornale l’accettare di vivere con esso e di renderlo addirittura un valore della propria esistenza. Infatti nell’affrontare la questione sono d’accordo con Borges il quale accettò la sua sorte come una specie di ironia divina, senza mai auto commiserarsi. Questo mi sembra un atteggiamento giusto, anche se non il migliore dato che quello di Borges rimane di sottofondo un affrontare in modo stoico la vita, quindi non un modo gioioso di viverla.

Ora come affronto però la questione di Tantalo e quindi di fatto la questione della felicità? Dovrei chiedermi: cos’è la felicità? Che cosa cerco davvero quando, semplicemente, vivo? Perché diavolo quando ci sono io, sembra quasi che davvero la felicità si prosciughi completamente? Chi è il colpevole di tutto ciò? Dio? Il fato? Io? La Natura? L’evoluzione? La ragione? Il corpo? Siccome non voglio dare né una risposta affrettata né una risposta preconfezionata, “retta”, a queste domande, ci rifletterò su e spero che anche voi possiate farlo, o almeno provarci. Forse domani la risposta, vediamo…  

La poesia di Borges, che vi consiglio vivamente di leggere per la sua bellissima e dolce tragicità, la potete trovare a questo link: "La poesia dei doni" 


2 commenti:

  1. forse noi pensiamo che la vera felicità deve durare in eterno,magari dura un attimo,aiutare l'amico,svegliarsi con la voglia di fare quello che si vuole,stare con la persona che amiin quel tale posto oppure inaspettatamente succede qualcosa di bello di cui non avevi neppure immmaaginato,oppure ti passa vicino e non te ne accorgi.adesso sono felice di risponderti!

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  2. Si la felicità è davvero questo? Mi ponevo anche io il problema della felicità e della sua durata. Purtroppo per ora non riesco a superare alcune difficoltà sul problema, nello specifico: gli attimi di felicità sono davvero la felicità? La felicità si può davvero possedere? Posso basare la vita su una felicità che va come un motorino Ciao (cioè a scatti)? Domani in treno ci rifletto

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