La considerazione di oggidì è rivolta, in forma di lettera, ad un immaginifico politico di qualunque schieramento o idea. In particolar modo ho provato ad evidenziare quelli che sono le origini dell'incapacità sempre più incredibile e preoccupante della nostra classe politica nell'affrontate la crisi mondiale.
Onorevole,
chi le scrive è uno studente
italiano del sud Italia, ventunenne, e sempre più incredulo di quello che sta
succedendo nel Bel Paese: sempre più immischiati in una crisi
economica-finanziaria di proporzioni mondiali e con sempre meno prospettive
future (stando a quello che dicono i media e vari osservatori internazionali)
la politica italiana mi sembra sempre più incapace di governare con decisione.
Se le crisi possono essere utili indicatori di quelle che sono le reali virtù –
sociali e private – di una persona, allora il giudizio che ne posso trarre da
cittadino su di lei, Onorevole, è parecchio sconfortante. Ciò che davvero più
mi inquieta, ammirando la classe politica, è la continua litigiosità e la
totale animosità che imperversa senza freni di alcuna sorta in un momento in
cui, come il buon senso pare indicare, ci sarebbe da mettere da parte colori e pretese
di potere per collaborare, con idee e metodologie diverse naturalmente, alla
risoluzione di un problema comune che rischia di trascinare verso il fondo l’Italia.
Eppure sembra che il buon senso non sia di casa nei palazzi del potere: se da
una parte si continua ad insistere su leggi che riguardano una parte ristretta
della popolazione, dall’altra parte le divisioni interne e un progetto politico
non ancora ben definito si affannano nel chiedere dimissioni e nuove elezioni
dando l’impressione, forse sbagliata, di volere in fondo solo il piacere di
poter sedersi al posto di comando e potersi vendicare sui rivali politici.
Allora mi chiedo: perché? Che cosa alimenta questa continua litigiosità che appare
ad uno sguardo esterno del tutto infantile? Ora, senza pretesa di completezza e
senza voler cadere in facili schematismi e con la consapevolezza di avere dalla
mia poca esperienza, mi sembra di poter dire che la crisi che stiamo vivendo ci
rivela almeno due limiti della democrazia italiana: da una parte l’assunto di
partenza secondo cui democratico vorrebbe dire indifferente e dall’altra la
mentalità della contrapposizione come mezzo di crescita. Mi spiego meglio.
Da
una parte abbiamo un assunto teorico che, penso (come altri pensatori
contemporanei), sia diventato un pilastro della democrazia moderna occidentale:
affinché si possa parlare di democrazia allora ogni idea o soluzione o, in
termini generici, verità deve essere posta allo stesso livello valutativo delle
altre e ogni tentativo di sovvertire questo delicato e instabile equilibrio
viene considerato un attentato alla stessa democrazia e un’imposizione
tirannica e dittatoriale di una mentalità su altre. Ne deriva però che in
questo modo è la democrazia stessa ad essere erosa dal suo interno: questa
specie di svalutazione di ogni ideale o soluzione sul piano teorico porta ad
una parcellizzazione sempre più profonda della società e ad un individualismo
esasperato in cui, alla sacrosanta libertà di pensiero, si lega il parassita
dell’assenza di confronto e l’isolamento in posizioni sempre più trincerate e
impenetrabili. Passiamo così dal governo del popolo alla dittatura di un’anarchia
senza idee guidata da gruppi eterogenei di individui legati da vantaggi comuni
da raggiungere o da un leader carismatico capace di riunire singoli sempre meno
capaci di pensare da soli (dato che l’assenza di confronto porta ad un
impoverimento generale di ognuno).
Arriviamo così al secondo punto che mi
sembra sia particolarmente presente in Italia: la mentalità della contrapposizione.
Influenzata da ideologie di altri secoli, ma ancora imperanti, la classe
politica italiana, caro onorevole, mi sembra ancora convinta che solamente
dalla contrapposizione dura e cruda possa nascere davvero qualcosa di buono sul
piano dell’agire sociale. Parliamo appunto di ideologie, di assunzioni di fondo
non giustificabili e non dimostrabili teoricamente e quindi neanche smentibili
razionalmente; però rimane il piano storico in cui il mondo ha potuto assistere
al fallimento più o meno conclamato di queste ideologie del contrasto, dell’odio
o di come le si vogliano chiamare. Sono state sostituite da altre, anche
peggiori a volte (utilitarismo e consumismo), eppure ancora non riesco a vedere
nessun tentativo di muoversi verso un ideologia della collaborazione tra le
parti sociali, tra i vari schieramenti politici, che possa poi svilupparsi in una catena
virtuosa anche all’interno della stessa società su tutti i suoi livelli. È sicuramente
un processo lento e ci vorranno sicuramente tanti anni per poter sanare le
ferite fatteci in 150 anni di storia, ma la crisi che stiamo vivendo può essere
un occasione fondamentale per poter fare un primo passo verso l’unità italiana
che, onorevole, in 21 anni della mia vita non ho mai percepito.
Onorevole mi
rivolgo a lei per chiederle in tutta sincerità di abbandonare vecchie e polverose
rivalità e di potermi dare l’esempio di quella fraternità di cui andiamo
talmente fieri da averne fatto il simbolo del nostro inno nazionale.
Dino Pascale

questo appello bipartisan affonda le radici nel malcostume che imperversa nella politica della non "cosa publica" ma "cosa privata" non al servizio del popolo ma alla sottomissione del popolo.Sarebbe utile se lo facessimo girare sul web,io ci provo!
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